Ci sono molti modi per affrontare o aggirare il mondo, quando questo incalza e non ti lascia scampo. Rivoltarsi, rifiutarlo è forse il sistema più facile; più arduo è invece reinventarlo, utilizzando i suoi stessi materiali, in nome di un’intelligenza e di un’ironia fortemente creative, che consentono di evitare la distruzione, la violenza, riciclando e ricucendo la vita con le forbici e il collante, a cui l’arte sempre ricorre quando si sente assediata.
Ritagliare le carte per ricomporre antichi archetìpi di armonia e bellezza, ma anche di umanità semplice e vera, nel taglio degli occhi, nello sguardo spesso avido e ardente, che fa pensare a una scugnizzeria meridionale sveglia, troppo sveglia, sino a sfiorare la diabolicità. Volti aguzzi o distesi, che fanno pensare a impensate arcimbolderie, a imprevisti tagli e cuciture, da cui la forma colorata e sontuosa emerge, ritrovata e rimessa insieme da un rigurgito di vita e di storia.
La materia o, meglio, le materie ci sono, sono anzi a portata di mano; basta smuovere la pigrizia, l’indolenza, la ripetitività del quotidiano per salvarle da una distruzione spesso distratta e violenta, per recuperare la possibilità di un loto ri-uso creativo e, come tale, destinato a suscitare gioia e meraviglia.
L’ordine è possibile nella struttura di un’arte, che simula la storia per introdurre sempre nuove creazioni, possibilità altre di rileggere i volti che essa ha allineato in una sequenza ripetitiva e non sempre convincente. Nelle terre e nei mari di Masaniello, anche ciò che sembra già stato può conquistare un inedito spazio di rivincita.
E poi ci sono i sensi e contro-sensi di una vita, regolata da codici non sempre convincenti, da multe che ti arrivano all’improvviso, risvegliando l’incapacità di un confronto diretto ed umano con la realtà. Anche in questo caso, basta usare i segnali nel senso giusto o in quello inverso, per ricordare l’ironia di una sorte, di cui ci sentiamo, piuttosto che protagonisti, prigionieri. E Napoli, città caotica per eccellenza, può essere riorganizzata almeno negli spartiti di un’artista, che reinventa la città a proprio piacimento, secondo un ordine trasgressivo che resta, privilegio estremo dell’arte.
Francesco D’Episcopo