“M’ incantò la rima fiore amore, la piu antica difficile del mondo”
U. Saba, “Amai”.
Maria Pia Daidone va alla ricerca del segno artistico. Ricerca che non si limita -come per molti suoi pur validi colleghi- a una tecnica o a una forma espressiva, alla grafica, mettiamo, o al colore, o magari a una tematica, ma che procede per piu strade, attraverso lo studio e l’utilizzo di materiali, che l’artista sceglie tra i più comuni trasformandoli e/o mascherandoli.
I recenti lavori della Daidone colpiscono per la loro -mai ostentata- apparente semplicità di esecuzione e perché sembrano avvicinarsi a un modulo di arte figurativa un po’ più “tradizionale” di quanto fossero -o sembrassero- certi suoi lavori precedenti (i Warriors”, ad esempio). Che sia, però, solo apparenza, lo si capisce quando si ascolta la pittrice elencare, con stupefacente semplicità, gli insospettabili materiali che sono dietro i suoi cerchi, o raccontare come siano ottenuti, sui cerchi medesimi, quei graffi che appaiono quanto di più casuale si possa immaginare e che invece sono uno dei momenti di più attenta elaborazione di queste opere. D’altra parte, chi conosce qualcosa del percorso precedente di Maria Pia Daidone sa che il suo gioco preferito è stato sempre quello di ottenere effetti di pesantezza con materiali leggeri ed effetti di complessita con materiali semplici. Si pensi ai suoi bellissimi scogli presepiali, con squarci di antichità nostrane e pesanti segni del tempo su pietre e ruderi, e si pensi, d’altra parte, alle ricerche, sottese alle sue “tecniche miste” e ai suoi “collages” di qualche anno fa, sull’ infanzia dell’umanita e degli uomini. I primi -gli scogli- erano ottenuti prevalentemente con polistirolo, gli ultimi
-i “collages”, ma anche la serie dei “Warriors”- con carte, semplici colle ed altro materiale comune.
E’ un serio gioco tra la materia e il segno, tra il peso della vita e la leggerezza della sua fragilità, tra la intuita semplicita dell’ essere e la complessità della ricerca.
Ricerca che si muove, per sua stessa natura, nell’ ossimoro: complessa semplicità, leggera pesantezza, possibile e impossibile strettamente legati fra loro. E l’ossimoro -espressione poetica della relatività- vive e palpita nella poesia contemporanea e nella nostra vita.
Suggestioni Kunderiane? Può darsi. Intanto, con la segreta speranza di trovare il montaliano “filo da disbrogliare”, continueremo non solo a leggere Kundera e i poeti (contemporanei e non), ma a seguire anche le ricerche -che auspichiamo lunghe e ricche- di artisti come Maria Pia Daidone.
Renato Casolaro