L’arte è pura possibilità, sospensione angosciosa tra l’Essere ed il Nulla, tra l’infinito ed il finito; è questo il punto di partenza di questa nuova profonda visione di Maria Pia Daidone, un’artista napoletana che tende ad indagare al di là dell’apparenza alla ricerca dell’essenza della vita.
“Ogni uomo tende all’assoluto – afferma il filosofo francese dell’esistenzialismo mistico-religioso Ernest Hello in ^Du Néant à Dieu^ (^Dal Nulla a Dio^) – tende ad assimilarsi al divino”.
Ma che cosa è l’Essere? Cosa è il Nulla?
Maria Pia Daidone protende con le sue opere al raggiungimento do quel concetto che racchiude in sé tutte le discipline dello scibile: il Nulla è l’etere, lo spazio in assenza di materia, è l’annichilimento supremo, è un punto ove tutto diparte; per contro l’Essere è la materia, lo spazio pieno, la pura energia, è il punto in cui tutto si concentra, è il buco nero.
L’ambizioso tentativo dell’artista napoletana ha così inizio. Buchi profondi e corposi concentrano l’attenzione, che nel colore denso e cupo o luminoso e solare godono di estrema vitalità e si attestano in posizione centrale quasi a voler proclamare la loro superiorità sul vuoto incombente; raggi, intricati percorsi degli umani destini, tracciano linee di grande efficacia che attraversano lo spazio circostante e racchiudono il possibile con immediatezza.
Il campo gravitazionale del centro, non ancora giunto allo stadio più elevato, non riesce ancora a captare tutto intorno a sé e le traiettorie ancora riescono a volte a sfuggire alla sua forza per delineare la ragnatela della vita; il Nulla, che produce l’angoscia umana e impone l’estrema indeterminazione, nega il supremo incontro e la tela si riempie di una tessitura fuggevole nella risoluzione del finito.
Il ciclo evolutivo è da Daidone immaginato come concentrazione progressiva di luce e materia fino alla contrazione estrema ed al collasso finale; la superficie pittorica, perciò, si ammanta di tonalità fosche e la densità cromatica vive impetuosi bagliori e pacate riflessioni.
Dopo aver analizzato i primordi del genere umano e posto uno dopo l’altro gli “enormi macigni” quali segnali della potenza dell’uomo ed aver meditato sulla sua esistenza drammatica e nel contempo favolosa, l’artista vuole varcare la soglia dell’apparire per giungere a percepire l’essenza stessa del tutto, al quale l’umanità tende, per accogliere sulla tela le più lievi vibrazioni degli esseri viventi, per delineare appieno la loro specificità.
Carlo Roberto Sciascia