Maria Pia Daidone rinnova il suo immaginario tra le ragioni delle “mitologie” simboliche del cromatismo e le magie del segno. Segno in cammino tra le indicazioni metaforiche dell’astratto costruttivo. Un gioco di rinvii che le consentono, attraverso i rottami delle avanguardie, una decantazione del suo ideare.
Maria Pia organizza, direi, in maniera metafisica, il possibile della “solitudine” del segno-forma-energia, mediante il susseguirsi dei mutamenti spaziali, conferendo ad essi l’identità dell’idea globale del segno nel campo. Una pista per l’approdo dei suoi incastri in espansione figurale, con la dinamica controllata del segno, capace di armonizzare simboli geometrici e lacerazioni frattali.
Garanzia di tale globalità è l’impegno della sua ricerca sui valori dei timbri cromatici e la strategia della luce che, nella varietà delle ombre, crea riverberi cangianti e campi vibranti.
L’arcipelago delle emozioni di Maria Pia è vasto: ogni centralità ha il suo numero, una sua dimensione, un suo mistero, una sua straordinaria umiltà e perché no anche una sua ambizione.
Ambizione che va misurata con il suo impegno a cominciar dalla ricerca del giusto formato del campo, ai materiali da usare, per stabilire la velocità del colore primario in rapporto ai colori complementari con le infinite varietà tonali al fine di ottenere nuove vibrazioni espressive.
Maria Pia sale in bottega (lo dice una scala a chiocciola) e sotto la volta che tocchi con le mani apre il suo rifugio pieno di diaframmi che smantella, uno dopo l’altro, per scoprire e capire il mistero, la magia che anima un punto, il suo divenire segno, poi segni in espansione, segni esploratori di un’armonia in gestazione che si fa luce nella centralità della comunicazione o spessore di quella solitudine che determina una personalità.
Vibra in Daidone anche un aspetto drammatico del narrare, ma i suoi “fantasmi” si fanno leggeri, entrano nella poeticità della fiaba vitalizzati da un’ironia mite, come controllati da un vento o un controvento che ne chiarisce l’essenza.
Maria Pia percepisce l’incidenza dei linguaggi degli anni ’70, ’80 e ’90, ne assapora il senso positivo, ma ne avverte anche l’aspetto negativo, cosi criticamente ne sperimenta alcune frazioni che vanno dalle astrazioni futuriste di Pippo Oriani allo spessore materico di Alberto Burri.
E’ chiaro che non si tratta di prestiti, ma di attraversamenti. Maria Pia si stacca da ogni preziosismo e se recita alcune “citazioni” lo fa per gioco, perché ha capito che l’indagine è sviluppo e non rottura.
L’assoluto si fa coscienza in Maria Pia, aborra l’ambiguità progressiva e l’immobilità di quell’astratto che avanza nelle diversità parallele più come autoplagio che come esplosione in divenire: le diversità delle accumulazioni dai rifiuti, dei significati delle nuove proposte che salgono dal dopoguerra con Ken Kift, Teber, Pollock, Gorky, Fontana, Licini e tanti altri, condensano nella sosta di Maria Pia, una riflessione cosciente di non allineamento e, anche se ruvidamente sperimenta, manufatti gestuali, lo fa per “recita”, ma dopo lo spettacolo (esperienza) ne avverte sia il negativo che il positivo.
Le ultime varianti di ricerca si muovono in un segno cosmico, quasi a rinnovare quei circuiti simbolici che interagiscono tra il certo e l’incerto, per stare nella laicità, nella sacralità e nella “convenienza” poetica.
Il recupero del cerchio, come perno nel campo, è un segno incorruttibile, capace per la sua complessità e semplicità nello stesso tempo, di moltiplicare cerchi magici, ruote solari, isole di protezione allusive alla felicità, all’unità della materia. Sembra come se Daidone stesse per svelarci la mappa della crisopeia, o l’arte di fabbricare l’oro di Cleopatra la saggia.
Una gerarchia di cerchi da “spalancare” segnali nella cabala del tempo.
Comunque, la scala dei segni sviluppa forze mistiche, oscure, che scuotono, che invitano a trovare in ogni gesto-segno un significato esoterico dell’evoluzione dei sensi e del pensiero per entrare nelle astrazioni dei calcoli matematici, i quali sono consentiti solo nei sogni e Maria Pia ci prova, calibrando segni, spazi e cromatismi, orientati nella varietà degli ocra, dei celestini serici, dei rossi modellati per condurti nella complessità del sogno-favola dello spazio cosmico.
Napoli, luglio 1997
Giuseppe Antonello Leone