Maria Pia finora ha seguito un po’ a latere l’attività artistica del nostro tempo. In solitudine, però, si è andata ponendo dei problemi. Intanto, da docente ha introdotto nei circuiti formativi nodi e questioni che oggi risultano centrali e qualificanti nell’attenzione della cultura napoletana dei nostri giorni nei confronti della salvaguardia del patrimonio artistico della città e dintorni.
Da qualche anno, come artista Maria Pia sta lanciando i dadi sul tavolo dell’arte. La sua scommessa è totale e punta su una cifra, in cui si coniugano poieticità e sapienzialità, pittura e simbolismo misteriosofico, zoroastrismo per l’esattezza. In tutti gli interventi di Maria Pia, infatti, domina, metafora e simbolo ossessivo, un cerchio-sfera, che allude non sfumatamente al disco solare, che è denso dei più vari e perfino dei più contrastanti significati presso tutte le culture. Basti dire che in Grecia e a Roma il Sole aveva tanto la funzione di psicopompo omicida (v. gli effetti tragici su Icaro), quanto quella di ierofante iniziatico. E presso i Maya, esso è aquila, lieve e colorata farfalla, tigre, vento di vita, di pioggia, di luce; ma è anche un assoluto malefico, un giaguaro che divora la notte. (Del sole-giaguaro s’interessò negli ultimi tempi Calvino).
Nell’ambito zoroastriano, il Sole suggerisce all’universo l’idea del principio del Bene. Ma questo, per affermare la sua identità, deve postulare il principio di segno opposto, il Male, Ahriman. Così viene spiegato nel libro sacro, l’Avesta.
Ma sia nel culto, sia nel libro sacro, il Sole e il Fuoco, sua emanazione sulla terra, escludono ogni contaminazione con l’impurità, con ogni aspetto che abbia una qualche connessione con la materialità, l’incidentalità, la precarietà.
Ebbene, proprio su questa divaricazione viene riflettendo, anzi dubitando la pittura di Maria Pia. Nei suoi trasgressivi racconti, Sole e Fuoco sono chiamati a confrontarsi da testimoni col dolore del mondo: la loro immagine, viene oltraggiata, graffita dalle ragnatele della storia, da linee che mettono a contatto il tempo con l’intemporale, il transeunte con l’eterno, come accade anche presso Proust e presso Eliot, il quale vede la trama del tempo assoggettata ad un fatale processo di sfilacciamento, mentre la solitudine del mondo “leads anywhere but round and round”.
Maria Pia, dunque, sta affrontando una questione delicatissima, non secondaria per la sensibilità del nostro tempo, su cui fa luce Georges Poulet nelle Metamorfosi del cerchio.
Napoli, 1997
Ugo Piscopo