Maria Pia Daidone pone i suoi oggetti, dipinti nel mito del vivere il proprio tempo, aggiornato al “Carro di Dio”, caratterizzando una totalità dell’universo, composto da opposti e valenze da analizzare, viverle per rappresentarle, per creare quel tessuto in divenire, entro maglie parallele incrociate, complicate da equazioni del dialogo, confluenti in campi,campielli o piazze-agorà del dialogo, al fine di gestire una poetica virtuale della visione capace di spingere l’attimo reale dell’emozione o del brivido, di quelle accensioni o spegnimenti, per stare, poi, nello spessore del ricordo che si fa storia.
La Daidone è consapevole di vivere “attraversamenti” continui per essere nello spazio-tempo della propria esistenza; sa di attraversare la luce, il buio (bianco-nero) è il divenire del giallo, rosso, blu (grigi-arancioni-viola-verdi); il giallo come colore violento, pari a una calata di metallo in fusione che ha la forza “comunicante” “fra gli uomini degli dei”.
Così il teatro dell’attraversamento, del silenzio, del dialogo muto, lo pone in sviluppo e, nella dinamica della velocità cromatica, viver come rumore, vocio, dramma del racconto in tutte le situazioni di incroci segnici, puntualizzando centri energetici della comunicazione.
Nelle tavole, ultimo approdo di Maria Pia, dopo tante ricerche, altri segni, altre espressioni, si sostanza sia nelle “Dame a Palazzo”, in un palazzo che non vedi con metafore segniche di altri tempi, giocate con una raffinata luminosità fra figure dirimpettaie da far pensare che l’io colloquio, strutturato nei dodici volti anche da simboli esoterici, ribelli misteri passati futuri, proprio per quel pallore, giallo-spento, dei visi, truccati di rosa capace di sdoppiare un dialogo nel “campo” della salvezza fisionomica; dipinti drammaticamente, con tagli di forbici e archi prelevati da riviste raffinate come un gioco pop dilatato nel tempo.
Maria Pia Daidone proviene da tante esperienze vissute in proprio, con pensiero puro, notificando un’oggettistica raffinata anche nel cammino delle arti applicate; connotando una poetica dei materiali tra morte e resurrezione, richiamando il passato per attraversare il futuro con vitale ironia, sottolineando un immaginario umano, pregno di sdegno, per tutto ciò che soverchia l’attesa di uno spirito puro.
Il teatro di Maria Pia, nella sua essenzialità, sconvolge l’utopico per lo spessore che dà alla libertà di pensiero, nel superamento delle paure, dei segni inquietanti, per potersi svegliare all’alba di ogni secondo, pronta a superare i tanti ostacoli; realizzarli dalla giacenza terrena e dalle ombre per sussistere nel linguaggio, semplice, a della luce del bianco incorruttibile.
Nella serie delle “Dame a Palazzo”, Maria Pia Daidone, trascende la morte per afferrare una luminosa esistenza e gli eroi, simbolo di indipendenza, quali Luigia Sanfelice e il duca Serra di Cassano sostenendo l’insostenibile, come la libertà quale diritto dell’uomo concesso da Dio.
Maria Pia narra con un linguaggio scarno, una mistica dello spazio, rendendo l’invisibile simbolicamente nel visibile anche nello smarrimento del narrato.
Napoli, 2001
Giuseppe Antonello Leone