Maria Pia Daidone è un’artista di sicuro talento e di grandi mezzi espressivi, con, alle spalle, un curriculum di tutto rispetto ed una solida preparazione tecnica e compositiva, acquisita con la frequenza, sia dell’Istituto statale d’arte ‘Filippo Palizzi”, sia dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli.
Nel corso degli anni, l’artista ha sviluppato una linea pittorica prevalentemente allusiva e metaforica, privilegiando un registro linguistico di tipo informale, carico tuttavia di seduzione e di “un’attrazione quasi fatale”.
Nelle sue composizioni a tecnica mista si avvertono sottili presenze ludiche, giocosità, leggerezza, ed un arguto senso dell’ironia che rende queste opere, pur nella loro problematicità, esteticamente gradevoli e fruibili oltre la ristretta cerchia degli “addetti ai lavori”.
“Sagome” è il punto d’arrivo di un lavoro ciclico e perciò per sua natura mai concluso, in cui Maria Pia, dopo i picchi e gli sconfinamenti nelle espressioni artistiche del postmoderno, recupera una forma espressiva di sapore antico.
Sono sagome nere, incise o disposte su legno, attraversate da striature, segni, scalfitture, misteriosi simboli criptici, in parte rese lucide da cere, smalti, inchiostri e vernici, in parte opacizzate ed ombreggiate di grafite.
Un ritorno ai primordi, ai graffiti delle caverne d’Altamira, di Lascaux, che raccontano. nella loro scarna figurazione, scene di caccia, riti religiosi, la difficile lotta per sopravvivere, il sogno, il mito.
Si avverte nell’artista un’adesione inconscia al simbolismo alchemico, un linguaggio espressivo che oscilla fra sperimentalismo tecnico ed adesione mentale ad iconografie magico- sacrali.
Si fa evidente nel linguaggio pittorico dell’artista la concezione di un mondo retto da determinate leggi e principi matematici in cui i poli opposti tendono alla ricomposizione e all’armonia cosmica.
La “nigredo”, fase della materia grezza, contrassegnata dal colore nero e dal piombo che trova espressione nelle sagome lignee di Maria Pia Daidone, è forse il primo stadio di quel processo di trasformazione degli elementi naturali che progressivamente perdono peso e consistenza fino a raggiungere la “rubedo” che corrisponde al rosso, all’oro, all’eterea e luminosa potenza della pietra filosofale.
Non è casuale che l’origine partenopea della Daidone e la frequentazione di siti archeologici della Valle dell’Ansanto e di Rocca San Felice, in cui anticamente fiorirono culti dedicati alla dea Menfite e a Cerere, abbia ispirato questa serie di lavori che ricordano gli “Xoanon”, parola che in greco significa “intaglio” e che furono primordiali rappresentazioni di sacre icone lignee dedicate alle divinità del luogo.
Taranto, 13 marzo 2004
Giuseppe Santoiemma